punti vitali - pugno a 3 pollici - palmo vibrante

 
 

PUNTI VITALI

L’arte marziale orientale ha conquistato il cuore di ogni combattente grazie anche al suo lato esoterico: una serie di insegnamenti segreti a cui solo pochi eletti possono accedere. La conoscenza dei punti vitali disseminati nel corpo umano e la rispettiva arte di colpirli durante lo scontro, rappresentano una dei settori più occulti delle discipline di combattimento orientali. Recentemente il noto maestro di Karate francese Henri Pleé ha riportato alla luce la “sublime arte dei punti vitali” con una interessante pubblicazione che si riallaccia alla riesumazione di questa disciplina durante il secondo conflitto mondiale. I giapponesi hanno istituito un’apposita commissione per verificare se le conoscenze presenti nei diversi RYU (scuole) nipponici potessero funzionare nel corpo a corpo. Ciò aveva la finalità di superare con l’arte dei punti vitali il conflitto ravvicinato, che vedeva i soldati del Sol Levante in seria difficoltà di fronte alla imponente mole dei militari americani. Si parla addirittura di un’arte a se stante e non, come si è sempre pensato, di un completamento del judo o del karate. Tuttavia non è sufficiente la conoscenza della tabella dei punti da colpire, si deve anche conoscere il modo di “toccare” il bersaglio, l’angolazione, la sequenza di colpi da dare, quali zone colpire prima, al fine di rendere sensibile il vero bersaglio. E’ utile inoltre prendere in considerazione la stagione dell’anno, l’ora del giorno, la tipologia psicofisica dell’avversario (considerazione del resto che fa anche un bravo ago-puntore per la sua strategia terapeutica).

PUGNO A TRE POLLICI

Bruce Lee attore, cultore d’arti marziali e creatore del sistema definito Jeet kune Do, fu anche eccellente esempio per il miglior impiego delle potenzialità psicofisiche dell’uomo.

Il pugno a tre pollici rappresenta la dimostrazione più eclatante delle sue abilità e conoscenze.

Molti furono coloro i quali rimasero basiti al cospetto delle impressionanti dimostrazioni del maestro Lee. Tali eventi avevano del paranormale: il compagno d’allenamento dell’artista cino-americano veniva scagliato lontano da un pugno, che non si vedeva neppure. Il braccio del protagonista sembrava essere già a contatto con il corpo dell’avversario quando, senza il minimo caricamento dell’arto, dalla mano chiusa esplodeva una forza tale da atterrare chiunque.

La fantasia degli spettatori incominciò a galoppare e, come una valanga, i racconti aumentavano di dimensioni ad ogni passaggio. Si parlò di energia interna, magia cinese, doti naturali sovrumane, poteri eccezionali, ecc.. Eppure Bruce Lee, cresciuto a contatto col pragmatismo nord americano, fece di tutto per insegnare la realtà del combattimento, ridicolizzando ogni superstizione o puerile fantasia. Intendiamoci bene, il piccolo drago (uno dei soprannomi di Bruce Lee) intendeva liberare la mente dal fantasticare a vuoto, dai sogni ad occhi aperti, per creare un metodo in grado di far sperimentare a tutti prestazioni, che sembravano adatte a super esseri.

La divulgazione del pugno a tre pollici è da considerasi un tentativo, per rendere partecipi degli antichi segreti gli studenti sinceri. Pratiche serie e metodiche, che permettevano ai maestri del passato di crearsi l’alone di mistero, detentori di forze divine.

 

La prima volta in cui vidi il pugno a tre pollici fu durante un seminario londinese del maestro Dan Inosanto, uno degli allievi diretti del piccolo drago.

A dire il vero si trattò di un fuori programma, poiché l’argomento dello stage erano il kali (arte marziale filippina) e il silat (arte marziale indonesiana malese).

Uno dei partecipanti chiese al maestro se poteva mostrare il famoso pugno a stretto contatto.

Notata la curiosità e le aspettative degli astanti, Dan Inosanto acconsentì. Un grosso allievo prese le pagine gialle e le tenne davanti al petto. Inosanto puntò le dita tenendole a contatto col voluminoso tomo e di scatto chiuse il pugno, imprimendo una tale spinta che fece cadere qualche metro indietro la cavia, per fortuna il petto era protetto da un cospicuo numero di pagine.

Rimasi estasiato come gli altri e decisi d’imparare la tecnica.

Seppi in seguito che il maestro Inosanto viveva come una specie di condanna quest’abilità, in ogni occasione infatti si faceva sempre avanti qualcuno, che richiedeva di gustare, da spettatore, le prestazioni del pugno esplosivo. In fondo si stava trasformando in un numero circense. Fu per tale motivo che, quando invitai il Maestro in Italia, non chiesi mai nulla in proposito.

Riuscii a trattenermi anche quando lo ebbi ospite a casa mia. Ma con un altro membro della famiglia del jeet kune do ebbi meno remore: il maestro Richard Bustillo.

E’ soprattutto a lui che devo la conoscenza del pugno a tre pollici e di alcuni lavori sulla sensibilità esclusivi del JKD.

A dirla tutta, dovrei ringraziare anche il ladro che mi ha sfondato la porta di casa, costringendomi a rimanere nella mia abitazione proprio col maestro Bustillo nel giorno in cui avrei dovuto fargli da guida per Milano. Una giornata intera in attesa del fabbro, molte ore a disposizione, in cui potei soddisfare ogni curiosità e, fra queste, ci fu indubbiamente il pugno a tre pollici.

Appresa la tecnica, mi dedicai agli esercizi e, quando raggiunsi una certa abilità, incominciai a mostrarne in giro gli effetti. Ogni occasione era buona. Lo sbalordimento di chi subiva il pugno ma anche di coloro che osservavano era dovuta al fatto che si otteneva la potenza di un colpo potente ma senza il caricamento, senza la rincorsa.

Nel lavoro a corta distanza una tale abilità implementa notevolmente le personali capacità offensive. Un giorno mostrai gli effetti del pugno ad un mio vecchio allievo, l’ingegnere Fabio Rovati.

Stavo vantando le doti di questo pugno, in cui, senza caricamento, si poteva ottenere un impatto devastante. L’ingegnere mi disse: “Veramente interessante ma non dire che non c’è caricamento, in realtà devi calcolare la distanza dal tallone destro fino al pugno destro. Si vede tutta la catena cinetica…

Lavorai così insieme ad altri allievi ingeneri, fisici, esperti di biomeccanica dell’Università. Misurammo punti forti e punti deboli del pugno a tre pollici.

Arrivai quindi all’elaborazione di un metodo, che permette a tutti (nessuno escluso), applicando gli esercizi adeguati, di apprendere questa interessante tecnica esplosiva.

Spogliare la tecnica da stravaganti fantasie o da metafore, che non hanno nessun corrispettivo nell’inconscio di un moderno occidentale, significa offrire la reale opportunità per apprendere, riuscendo ad unire il corretto sfruttamento della catena cinetica con un adeguato atteggiamento psicologico.

 

Nelle arti marziali infatti non si parla mai esclusivamente di prestazione fisica ma sempre di impostazione psicologica e chiara intenzione.

Un movimento non è mai solo fisico: c’è sempre la presenza mentale, la concentrazione, e persino la visualizzazione di ciò che si sta per compiere, in modo tale di agire, in ogni istante, come unità corpo -mente.

 

 
Durata del corso: 2 giornate singole oppure un weekend
 
 

PALMO VIBRANTE

E’ senza dubbio il colpo che ha stimolato la fantasia di molti praticanti di arti marziali.

Le letture o i film sulle discipline tradizionali orientali hanno entusiasmato lettori e spettatori con colpi di mano, che sembravano sprigionare energia dal palmo. Il risultato di tali tecniche rasentava l’incredibile: il malcapitato si contorceva in preda agli spasmi fino a cadere al suolo inerte.

I testi, che raccolgono le testimonianze di chi è sopravvissuto a simili colpi, raccontano l’effetto che questi attacchi provocano. Subire l’impatto del palmo vibrante procura una sensazione diversa da qualsiasi altro colpo, sia esso portato col pugno o a mano aperta.

Il palmo vibrante sprigiona una sorta di scossa elettrica al torace e sembra ferire gli organi interni senza lasciare alcuna traccia sul petto. Si parla di arresto cardiaco, di reazioni vagali con conseguente vomito o svenimento, di vibrazioni che colpiscono i reni o il fegato ecc..

 

Il palmo vibrante è conosciuto con molti nomi, tra questi troviamo l’esotica definizione di mano velenosa. Tale definizione la dice lunga sugli effetti che un simile colpo può provocare sull’avversario.

Tra le zone in cui tale colpo esprime al meglio la sua potenza troviamo la gabbia toracica, che viene colpita frontalmente, da dietro, ed anche di lato. E’ facile intuire il motivo di tale scelta: gli organi interni sono tutti concentrati e protetti dallo scheletro, il palmo vibrante o velenoso ha trovato un modo per superare la protezione e trasmettere la vibrazione direttamente all’organo interessato. L’altra zona è la scatola cranica che, come sappiamo, protegge il cervello. Se si riesce a trasferire le vibrazioni alla materia grigia, è facile che si possano procurare danni irreversibili e persino la morte. Per fortuna la scatola cranica è più resistente di quanto possiamo pensare e il liquido cefalo- rachidiano, che si trova all’interno, è un potente ammortizzatore degli urti.

Esiste dunque davvero la possibilità di portare un colpo in grado di far vibrare un organo interno, minando la sua funzionalità, fino a compromettere l’equilibrio psicofisico dell’avversario?

E’ la domanda che tutti coloro, che sono entrati in contatto col racconto del palmo vibrante o mano velenosa, si sono posti, per accantonarla prima e poi per relegarla nel mondo delle leggende orientali.

Eppure, il buon senso ci dice che, quando una leggenda sopravvive ai secoli, deve contenere qualcosa di attinente con la realtà. I moderni metodi d’indagine scientifica, gli studi più recenti sul corpo umano e sul rapporto mente-corpo ci permettono un’indagine accurata, scevra di superstizioni e fantasia infantili.

 

 

 

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